Le patologie cardiovascolari costituiscono un terzo di tutte le cause di morte. Ma prevenirle è possibile.
Diciassette milioni di vite umane: è il tributo che il mondo paga ogni anno alle malattie dell’apparato cardiocircolatorio. Infarto, ictus, che insieme uccidono tredici milioni di persone, e le altre patologie cardiocerebrovascolari costituiscono la prima causa di morte nel mondo, e sono responsabili di un terzo della mortalità globale (dati OMS 2005). Se il trend non si interromperà, si calcola che nel 2015venti milioni di persone moriranno per queste malattie.
Eppure, almeno l’80% di queste morti potrebbero essere evitate solo modificando i principali fattori di rischio cardiovascolare: l’uso di tabacco, la dieta scorretta, l’inattività fisica. Proprio “Conosci il tuo rischio?” è lo slogan della Giornata Mondiale del Cuore 2008, che si svolgerà il 28 settembre. Le attività della Giornata mondiale del cuore, organizzate dalla World Heart Federation, con l’egida dell’Organizzazione mondiale della Sanità, in più di 100 paesi, comprendono controlli gratuiti, incontri scientifici, mostre, lezioni di ginnastica, passeggiate, maratone, concerti.
Intanto, la ricerca va avanti: durante l’ultimo congresso della Società Europea di cardiologia, che si è appena concluso a Monaco, sono stati individuati nuovi parametri che potrebbero misurare il rischio di eventi cardiovascolari maggiori, cioè infarto e ictus. E sono anche stati presentati nuovi farmaci.
Non solo colesterolo
Che il rapporto tra colesterolo LDL e HDL consenta di definire il rischio cardiovascolare è fatto assodato. Ma secondo un nuovo studio, condotto su oltre 27 mila persone e pubblicato su Lancet, questo parametro consentirebbe di individuare solo il 37% del rischio cardiovascolare del soggetto. La ricerca, condotta da Matthew McQueen, dell’Università di Mc Master in Canada, ha invece puntato i riflettori sul rapporto tra la lipoproteina APOß e la APOA1. Questo nuovo test potrebbe essere utilizzato in particolari popolazioni di pazienti.
Uno studio del dipartimento di sanità pubblica finlandese, condotto su 22 mila persone, ha dimostrato che alti livelli di trigliceridi nel sangue sono correlati ad un aumento del rischio di infarto, indipendentemente da altri fattori. Un alto livello di trigliceridi è spesso associato a un basso valore di HDL, soprattutto nelle persone in sovrappeso e con una dieta scorretta. In ogni caso, per correggere questi valori, la ricetta non cambia: alimentazione sana e movimento.
Questione di polso
Dieta e attività fisica sono anche il metodo per abbassare le pulsazioni. Lo studio Beautiful, condotto su 11 pazienti con scompenso cardiaco in fase iniziale e pubblicato su Lancet, ha dimostrato che tenere la frequenza cardiaca sotto i 70 battiti al minuto riduce del 36% il rischio di infarto e del 30% quello di un intervento alle coronarie. Il medico, quindi, dovrà ricordarsi di sentire il polso a tutti i suoi pazienti.
Cuore in fiamme
Altri “indiziati speciali” come markers del rischio cardiovascolare sono alcune sostanze che si liberano nell’infiammazione: l’adiponectina e la proteina C reattiva. La prima è una proteina prodotta dagli adipociti, che cala nel diabete e nell’obesità. Bassi livelli di adiponectina sono associati all’incremento del BMI, del rischio cardiovascolare, dell’incidenza di infarto.
La proteina C reattiva è stata recentemente inclusa dal Centro per il Controllo Malattie di Atlanta e dall’American Heart Association tra i fattori di rischio in aggiunta a quelli classici.
Farmaco anti – ictus
Un nuovo farmaco antiaritmico che agisce sulla fibrillazione atriale, condizione che interessa mezzo milione di persone solo in Italia e che è una delle principali cause di ictus. Si tratta del dronedarone, testato per quasi 20 anni su 4500 persone, nel corso dello studio Athena. Il dronedarone riduce il rischio di ictus del 34% contro placebo nell’ambito del trattamento standard che prevede la somministrazione di anticoagulanti e antiaggreganti. La fibrillazione atriale viene oggi trattata, oltre che con questi farmaci, con l’ablazione, che spegne gli impulsi incontrollati che confondono il ritmo cardiaco. Se il cuore non batte regolarmente, il sangue tende a ristagnare negli atri, formando coaguli che possono arrivare sino ai vasi cerebrali, bloccandoli.
Farmaco pro – HDL
Sino ad oggi i farmaci ipocolesterolemizzanti abbassavano il livello di colesterolo totale e/o quello delle LDL. Ora sono allo studio farmaci che dovrebbero alzare il colesterolo buono. Risultati ha dato la niacina (vitamina B3) che però, alle dosi usate, è mal tollerata, ma potrebbe essere somministrata in nuove formulazioni. Lo studio SEACOST (Safety and Efficacy of a combination of Extended Release Niacin and Simvastatin in Patients with Dyslipidemia) ha associato, in 600 pazienti, le statine alla niacina a lento rilascio, rilevando un aumento dopo sei mesi del colesterolo buono superiore a quello dei volontari trattati con la sola statina.
L’olio di pesce contro lo scompenso cardiaco
Due studi indipendenti, ma condotti insieme, hanno dimostrato l’utilità dell’assunzione di un grammo di olio di pesce nella riduzione la mortalità e l’ospedalizzazione per cause cardiovascolari nei pazienti con scompenso cardiaco. Si tratta del progetto “GISSI HF”, condotto in Italia dall’Associazione Nazionale dei Medici Cardiologi Ospedalieri (AMCO), dall’Istituto Mario Negri, da Consorzio Mario Negri Sud. I risultati, pubblicati con grande risalto su Lancet, accompagnati da un editoriale, sono tanto più sorprendenti perché sinora non si erano trovati farmaci efficaci nello scompenso cardiaco.
Lo studio ha arruolato 7000 pazienti con scompenso cardiaco, e si articolava nella prova di efficacia di due farmaci: gli acidi grassi polinsaturi (n-3 PUFA) e la rosuvastatina.
Nel gruppo trattato con una capsula al giorno di n-3 PUFA, il numero delle morti è stato di 955 (27%), contro 1014 (29%) del gruppo placebo. Ciò significa una riduzione del 9% del rischio relativo. Le ospedalizzazioni sono state 1981 (57%) nel gruppo n-3 PUFA contro 2053 (59%) nel gruppo placebo, il che corrisponde ad una riduzione del rischio relativo dell’8%. Inoltre, nel gruppo che assumeva l’olio di pesce si è verificata una riduzione del 28% dell’ospedalizzazione per aritmie. Al contrario, la rosuvastatina non si è rivelata efficace nei pazienti con scompenso cardiaco.
Michela Molinari